Attività - Compendio G.Palatucci Avezzano
Alla nostra sede a San Pelino vecchio(AV) stiamo lavorando su dei Progetti in Partenza che seguono:
1.SEMI AUTONOMIA
La Semi-autonomia è un servizio residenziale che si rivolge a ragazzi di età compresa tra i 18 ed i 21 anni, provenienti da un’esperienza di comunità, ex art.25 o sottoposti a regime di detenzione alternativa. Il servizio offre ai ragazzi, con specifiche difficoltà legate all’acquisizione dell’autonomia personale, l’opportunità di definire i propri bisogni riconoscere e valorizzare le proprie risorse, avviando la costruzione di un progetto di vita concreto, che garantisca la piena realizzazione individuale nella società. Si propone di favorire il processo di svincolo emotivo e relazionale dalla comunità, sostenere l’acquisizione di responsabilità, sviluppare i processi di autonomia. Seguendo queste direttrici le azioni attuate mirano a responsabilizzare il giovane nel processo di crescita personale, offrendogli la possibilità di acquisire gli strumenti necessari per affrontare i contesti relazionali e lavorativi in piena autonomia. Il progetto è in rete con i servizi sociali territoriali e con gli uffici della Giustizia Minorile offrendo al territorio una valida risposta al contrasto del disagio giovanile.
OBIETTIVI:
Autonomia abitativa: l’obiettivo specifico di questa misura è quello di poter sostenere almeno una parte dei ragazzi in uscita dalle strutture di accoglienza o dalla tutela affidataria dei circa 2800 che sono annualmente censiti nel Lazio come “fuori dalla famiglia di origine” e offrire la possibilità di essere inseriti in un percorso di autonomia personale che comprenda innanzitutto l’autonomia abitativa. La difficoltà di prendere un alloggio in affitto è esperienza comune per chi non ha un reddito stabile ma coloro i quali sono anche “fuori famiglia” hanno la complessità ulteriore di non poter offrire garanzie necessarie che solitamente vengono sostenute da figure parentali. Con questa iniziativa si intende mettere a disposizione delle unità abitative e che possano poi utilizzare le risorse quale contributo per l’avvio o a garanzia di un periodo di affitto;
Autonomia lavorativa: l’obiettivo specifico di questa misura è quello di garantire l’inserimento del care leaver in un sistema di rete offrendo un vero e proprio supporto per la definizione del proprio progetto di autonomia che, come indicano le linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per i minorenni, prevede la fattiva partecipazione del neo-maggiorenne, dell’Ente inviante (anche laddove non è definita dal Tribunale per i minorenni la misura del prosieguo amministrativo), del Servizio residenziale, nel garantire flessibilità e collaborazione per l’individuazione di soluzioni sostenibili e appropriate, e di tutti i soggetti economici disponibili del territorio;
Azioni di sostegno alla autonomia relazionale: con questa misura si intende sostenere la rete amicale e l’inclusione sociale nelle reti associative territoriali in cui i neo-maggiorenni in uscita dal Servizio residenziale possano sperimentare relazioni di condivisione, vicinanza emotiva, solidarietà. L’obiettivo è quello di rispondere alla richiesta dei care leavers di essere partecipi e protagonisti delle scelte che li riguardano e non semplici spettatori passivi, valorizzando la loro diretta esperienza, per azioni di miglioramento continuo che possano coinvolgere i ragazzi in un percorso di cittadinanza attiva finalizzato a creare momenti di aggregazione e di confronto reciproco, che possano generare riflessioni e suggerimenti su come possono essere migliorati i percorsi di accoglienza etero-familiare.
UTENZE:
Adolescenti tra i 17 e i 20 anni, italiani e non, provenienti da un'esperienza di accoglienza nella casa-famiglia Provvidenza. Sulla base di accordi con i Servizi Sociali di riferimento è prevista l'accoglienza di ragazzi provenienti da altre strutture. Si accoglie un numero massimo di 6 ragazzi.
METODOLOGIA:
il servizio, pur staccato sia amministrativamente che organizzativamente dalla Casa famiglia Provvidenza, fa parte di un unico progetto e direzione che intende aiutare il giovane nel difficile momento dell'inserimento e dell'assunzione dei compiti in società. L'ingresso nel servizio di semiautonomia è deciso dall'équipe di accoglienza ed è vincolato ad una parallela esperienza di lavoro interno ed esterno alla Comunità. La vita interna è regolata da orari stabiliti comunitariamente tenendo conto degli impegni lavorativi dei singoli. E' diretta da uno dei giovani, nominato dall'équipe di accoglienza alla quale ne risponderà direttamente. La permanenza è stabilita dall'équipe di accoglienza e potrà avere una durata massima di due anni. Il giovane che vorrà viverci sarà tenuto alla scrupolosa osservanza delle norme generali di vita già stabilite per la Casa famiglia alle quali si sentirà legato sì da essere un esempio per i giovani della casafamiglia. E' vincolato alla partecipazione ad una riunione comunitaria settimanale con revisione in orari e modalità da stabilirsi. Le visite di persone estranee dovranno essere concordate con i responsabili. I giovani del Servizio risiedono in locali messi a disposizione appositamente, si impegnano a mantenerli in stato di buona conservazione ed efficienza, provvedono autonomamente alla gestione della Casa stessa. Nel caso si verificassero gravi atti di inosservanza sia allo spirito che alle norme specifiche del nostro ser- vizio, l'équipe di accoglienza decreterà l'immediato allontanamento del giovane.
2.CASE RIFUGIO:
Il cardine del lavoro in struttura è la resilienza come possibilità di riorganizzare positivamente la propria vita, ricostruirsi mostrandosi recettive alle opportunità che il percorso in struttura potrà favorire.
La donna accolta in struttura viene gradualmente accompagnata in un iter di consapevolezza della nuova condizione e supporto per traguardare la propria emancipazione. Le educatrici presenti in struttura, dopo una prima fase di conoscenza reciproca ed osservazione, stendono insieme alla donna, un progetto socio-educativo individualizzato con i micro e macro obiettivi del percorso di permanenza presso la struttura. L’obiettivo finale e principale per tutte le ospiti è sicuramente i l reinserimento in società attraverso il reperimento di un impiego che dia autosufficienza economica nonché l’individuazione di una sistemazione abitativa autonoma.
Le educatrici lavorano in rete con i servizi sociali di residenza, il Centro anti violenza, i Carabinieri e tutti gli enti coinvolti a diverso titolo nel supporto delle donna e se ci sono, dei suoi figli.
Collabora con la struttura una psicologa sempre presente nel momento dell’ingresso della donna e quindi disponibile ad accogliere e contenere la sofferenza e il probabile disorientamento a termine dell’iter previsto per la messa in protezione; spesso infatti le donne arrivano in struttura a seguito di ore trascorse in questura per la denuncia o al pronto soccorso per eventuali referti necessari. La psicologa è anche presente durante il percorso per le necessità emergenti e accompagna alla presa di consapevolezza dell’importanza di un supporto psicologico continuativo presso il Centro antiviolenza o le strutture pubbliche e convenzionate.
Accogliere una madre vittima di violenza significa anche occuparsi con particolare cura e premura dei suoi figli. I bambini che vengono accolti in struttura sono spesso vittime di violenza assistita e devono ricostruire la propria esistenza in un ambiente nuovo e sconosciuto, lontano dal padre, dai famigliari e dagli amici. Una nuova scuola, delle nuove presenze adulte, nuovi riferimenti.
Tutta l’attenzione dell’equipe è data in questa prima fase a consentire ai minori di ambien- tarsi prestando ascolto e osservando i dettagli del loro comportamento per cercare di ri- spondere anche ai bisogni inespressi. Le educatrici collaborano con la pediatra per appro- fondire anche l’aspetto di salute e benessere e si attivano qualora fossero necessari appro- fondimenti. Di natura prioritaria è anche il collegamento con la scuola per consentire il più rapido inserimento. Si occupano inoltre del loro benessere generale cercando di ga- rantire occasioni di svago e possibilità di spendere il tempo in maniera spensierata e co- struttiva ad esempio organizzando la frequenza all’attività sportiva o il supporto da parte di terapeuti/professionisti dell’infanzia.
L’equipe collabora e si attiva inoltre per garantire il diritto alla visita da parte del genitore allontanato; se il decreto del tribunale dei minori lo prevede, le educatrici accompagnano o garantiscono lo spazio protetto, occasione di incontro con il padre o con eventuali altri famigliari. Tale delicato momento è un diritto riconosciuto al padre ma è anche un diritto dei figli che, in presenza di personale qualificato in grado di tutelare il minore, sono supportati nell’interagire con il genitore.
Il personale della struttura si occupa dell’accompagnamento del minore al luogo dell’incontro garantendo il sostegno necessario nella fase precedente e iniziale ma anche al termine dell’incontro quando dopo il congedo, possono affiorare sentimenti contrastanti e difficili da comprendere e contenere.
La pedagogista che collabora con la struttura garantisce all’equipe uno spazio di ripensamento delle dinamiche spesso complesse che si creano in struttura con i bambini e tra i bambini e le loro madri nonché garantisce uno spazio di condivisione delle strategie più opportune da attuare e sperimentare al fine di incrementare il benessere dei minori e delle loro madri. Spesso l’equipe supporta il genitore senza sostituirsi con interventi che potrebbero minare la credibilità della madre ma, affiancandosi a lei e sug- gerendo alternative, mostrandole la possibilità di scoprire o riscoprire risorse genitoriali latenti.
La donna sarà chiamata a sottoscrivere il suo PSEI (progetto socio educativo individualizzato) proprio perché gli obiettivi del percorso saranno sin dall’inizio pensati e condivisi dall’ospite che non può che essere protagonista del suo per- corso di emancipazione. Ciascuna donna lavorerà per la propria identità e per il proprio progetto di vita supportata dalle educatrici per il potenziamento dei sin- goli aspetti di fragilità.
Aspetto comune alla maggior parte delle donne che vengono accolte in struttura sono la mancanza di un’indipendenza eco- nomica e di una soluzione abitativa; per questo le educatrici aiutano la donna nel difficile percorso di analisi e approfondi- mento della propria condizione fino a stendere un curriculum vitae che è anche e spesso occasione di ripensamento di sé. Segue l’accompagnamento o semplicemente lo sprono e l’incoraggiamento alla ricerca di impiego e alle eventuali fasi suc- cessive per l’attivazione di contratti lavoro.
Le attività svolte si riassumono in:
Accoglienza - ascolto ospitalità (donne con o senza figli) consulenze gruppi sensibilizzazione-formazione La non separazione tra i luoghi dell’accoglienza, la casa, e quelli dei percorsi, il centro, sostanzia e promuove il progetto e il lavoro politico dei centri stessi. La possibilità di essere parte di un progetto politico sostiene il lavoro delle operatrici, non limitato all’accoglienza e alle dinamiche della ospitalità, ma portatore di sguardi nuovi sulla realtà delle donne. La metodologia si basa principalmente sulla relazione tra donne, per la valorizzazione delle risorse delle donne e il rafforzamentodella loro identità; sul dare credito e costruire fiducia; sul costruire relazioni autentiche che innescano cambiamento, offrendo modelli relazionali positivi; sul superamento di approcci tecnici. Casa e centro sono strutturate con un presidio h24. Tale organizzazione permette di dare una risposta forte, soprattutto nelle prime fasi dell’accoglienza, al bisogno di sostegno della donna, anche nella relazione con i figli, e alla necessità di sostenere la motivazione al cambiamento, motivazione che soprattutto nelle fasi iniziali, può essere molto fragile. La presenza delle operatrici quindi è costante: il presidio prevede 3 turni, due diurni e un notturno; tale organizzazione dà la possibilità all’operatrice di sostenere la donna nelle varie fasi della giornata, di poter intervenire e condividere riflessioni in situazioni o momenti in cui si replicano alcune dinamiche legate all’esperienza violenta pregressa, o quando emergono pensieri ed emozioni, non confinando quindi lo scambio al solo momento del colloquio. La possibilità di rinarrare la propria storia è elemento fondamentale per l’avvio di un percorso di fuoriuscita dalla violenza; con le operatrici le donne rinarrano la propria storia in connessione con l’essere donna delle operatrici, in un clima di sospensione del giudizio, capacità di accogliere le ambivalenze, assenza di “prescrizioni” e/o contenimento di proprie prefigurazioni culturali (come ad es. per il materno).
NORME DI COMPORTAMENTO:
Le ospiti della Casa Rifugio sono tenute ad osservare le norme di comportamento di seguito specificate:
- la donna ospite è vincolata alla riservatezza sulla Casa Rifugio e sulle altre ospiti;
- non sono ammesse visite di parenti e/o amici;
- ogni donna è responsabile della custodia e della cura dei propri figli, che non possono essere affidati ad altre In caso di assenza per lavoro o altri motivi, la loro cura deve essere concordata con le operatrici dell'équipe;
- è assolutamente vietata la riproduzione e la consegna, anche temporanea a terzi, della chiave della Casa Rifugio, che viene consegnata alle ospiti per consentire loro una certa autonomia di movimento;
- le uscite serali ed eventuali pernottamenti esterni devono essere concordati preventivamente con le operatrici il rientro deve avvenire entro le ore 00;
- 6.l’assenza prolungata deve essere comunicata e concordata con le operatrici
- 7.l’assenza di oltre 24 ore deve essere giustificata e concordata con le operatrici
- 8.la vita all’interno della Casa Rifugio (l’igiene personale e dei propri figli, la cura degli arredi, la pulizia degli ambienti individuali e comuni, la spesa, l’allestimento dei pasti, ) è autogestita dalle donne, che se ne assumono la responsabilità, per sé e per i propri figli
- 9.le pulizie degli spazi comuni devono essere effettuate a turno fra le donne ospiti, secondo il calendario che sarà La rottura e/o il deterioramento di oggetti e di arredi della Casa Rifugio vanno segnalati tempestivamente alle operatrici per consentire il loro ripristino. Il risarcimento dei danni cagionati è a carico della donna ospite;
- 10.le donne ospiti, pur nell’autonomia loro riconosciuta, devono far riferimento alle operatrici dell'èquipe che gestisce la Casa Rifugio per i problemi relativi alla gestione della stessa e partecipare agli incontri periodici di verifica;
- 11.ogni donna ospite è responsabile della cura e della custodia di oggetti e/o denaro Il soggetto gestore della Casa Rifugio non ha al riguardo alcuna responsabilità; l) la donna ospite, quando lascia la Casa Rifugio, deve riconsegnare le chiavi e ripristinare le condizioni dell'alloggio che ha trovato al suo arrivo, provvedendo alla pulizia e al riordino dei locali; gli effetti personali rimasti nella Casa Rifugio, qualora non siano ritirati dall'interessata entro un mese dalla cessazione della permanenza, 6 vengono acquisiti al patrimonio della Casa Rifugio, se utilizzabili; in caso contrario sono conferiti in discarica secondo le procedure di smaltimento dei rifiuti) per garantire a tutte le donne una serena convivenza è necessario l’impegno di ognuna al rispetto reciproco e alla solidarietà; episodi di intolleranza, aggressività o violenza possono costituire un motivo di allontanamento dalla struttura, così come la evidente non utilità per la donna stessa di permanenza nella Casa Rifugio. La violazione delle norme di cui alle precedenti lettere a), b), d) e g) comporta l'immediato allontanamento dalla Casa, che sarà prontamente comunicato alla rete dei servizi ed enti interessati e/o coinvolti nel progetto individuale di accoglienza.
PRESTAZIONI EROGATE:
- La Casa Rifugio accoglie donne, vittime di violenza o gravemente a rischio di subirla, con o senza figli minori, che necessitano di accoglienza e protezione, trovandosi in una situazione di disagio o di pericolo tali da richiedere l’allontanamento dal domicilio
- La Casa Rifugio è gestita da un' équipe di operatrici, qualificata nel lavoro con le donne vittime di violenza. L' équipe è coordinata dalla Responsabile della Casa Rifugio, che deve essere in possesso di diploma di laurea, con preferenza per quello in psicologia o in servizio Dell'équipe possono far parte anche volontarie specifica- mente formate nel rapporto con le donne vittime di violenza.
- La capienza massima della Casa Rifugio è di 4 donne sole o di 2 donne con fig li minorenni, fino al massimo di 3 Alle donne vittime di violenza e ai loro figli minori accolti nella Casa Rifugio sono assicurate le seguenti prestazioni:
a) accoglienza in emergenza/urgenza;
b) assistenza in caso di inserimenti programmati/ordinari;
c) ospita- lità temporanea, comprensiva di vitto e beni di prima necessità, fino ad un massimo di 120 giorni, salvo diverse previsioni e necessità documentate;
d) sostegno e accompagnamento nella convivenza tra ospiti e nella gestione della vita nella Casa Rifugio (pulizie, spesa, preparazione dei pasti);
e) sostegno e accompagnamento nella gestio- ne del proprio lavoro o nella sua ricerca;
f) sostegno e accompagnamento nel percorso educativo del/i figlio/ i e nella relativa scolarizzazione;
g) protezione, tutela e assistenza, garantendo i necessari collegamenti con i servizi competenti (magistratura, tribunali, giudici tutelari, scuole, ospedali e servizi territoriali dell' ULSS, altro);
h) ac- compagnamento ed eventuale sostegno al reddito, tramite il coinvolgimento dei servizi territoriali deputati e del Comune di residenza delle donne e dei loro figli, in fase di uscita dalla struttura
4.La Casa Rifugio garantisce la disponibilità di beni alimentari e alt ri di prima necessità, in particolare per gestire le accoglienze d'urgenza
5.Nel caso in cui la donna accolta nella Casa Rifugio non possa provvedere direttamente al loro acquisto, la messa a disposizione di beni alimentari e altri di prima necessità avviene attraverso una delle seguenti modalità:
a) fornitura diretta di generi alimentari di base, abbigliamento, anche usato, e prodotti per l’igiene personale;
b) erogazione di somme di denaro destinate all’acquisto di alimentari, abbigliamento, prodotti per l’igiene personale e altri beni di prima necessità direttamente alle beneficiarie accolte nella Casa Rifugio;
c) erogazione di buoni-alimentari prepagati;
d) pocket money per le spese personali, in particolare commisurato alle necessità di eventuali figli accolti con la madre, in aggiunta ai servizi
6.Il Comune provvede alle pulizie straordinarie della Casa Rifugio, e, nello specifico, alle pulizie dei locali da effet- tuare ogni volta che una donna esce definitivamente dalla struttura e in ogni caso almeno una volta all'anno. Il Comune provvede inoltre al lavaggio della biancheria ogni volta che una donna esce definitivamente dalla Casa Rifugio
7.Le pulizie ordinarie sono a carico delle ospiti della Casa Rifugio, che devono provvedere alla pulizia quotidiana dei locali e al lavaggio della biancheria.
8.La Responsabile della Casa Rifugio e l' équipe accompagnano la donna nella gestione dei rapporti con la famiglia e/o la rete Sono consentite, salvo diverso avviso dei servizi invianti, comunicazioni scritte, telefoniche e colloqui diretti, purché non intralcino il giornaliero svolgimento delle attività, individuando per i colloqui diretti opportune fasce orarie e uno spazio protetto diverso da quello della Casa Rifugio.
3.CO-HOUSING POVERTA' ESTREMA:
Il fenomeno della grave emarginazione In Italia esistono numerose espressioni per denotare le persone homeless e la condizione di homelessness: senza dimora, senza fissa dimora, clochard, barbone, grave emarginazione adulta, povertà estrema, deprivazione materiale, vulnerabilità, esclusione sociale, etc. Non si tratta di sinonimi né di vere e proprie definizioni ma di espressioni che colgono ciascuna diversi aspetti di un fenomeno sociale complesso, dinamico e multiforme che non si esaurisce nella sola sfera dei bisogni primari ma che investe l’intera sfera delle necessità e delle aspettative della persona, specie sotto il profilo relazionale, emotivo ed affettivo. La definizione italiana più diffusa per rendere il termine anglosassone homeless o il più recente francese sans chez-soi è il termine persona senza dimora. Si intende qui per dimora un luogo stabile, personale, riservato ed intimo, nel quale la persona possa esprimere liberamente ed in condizioni di dignità e sicurezza il proprio sé, fisico ed esistenziale. Differisce dalla definizione di Persona Senza Fissa Dimora, termine di uso abituale per definire il medesimo fenomeno, in quanto la locuzione “senza fissa dimora” ha una specifica connotazione burocratico-amministrativa e vale a connotare la condizione di una persona che, non potendo dichiarare un domicilio abituale, è priva di iscrizione anagrafica o ne possiede soltanto una fittizia. La fattispecie, per legge (legge 1 228/1954), si applica principalmente a catego- rie come nomadi, girovaghi, commercianti ambulanti e giostrai, che condividono con le persone senza dimora la mancanza di una residenza e di un domicilio stabili, ma che non necessariamente vivono la condizione di depriva- zione che connota le persone senza dimora. Ciò che connota le persone senza dimora è una situazione di disagio abitativo, più o meno grave secondo la classificazione ETHOS, che è parte determinante di una più ampia situazione di povertà estrema. Dal punto di vista delle politiche e dell’intervento sociale, a connotare tale situazione è la presenza di un bisogno indifferibile e urgente, ossia tale da compromettere, se non soddisfatto, la sopravvivenza della persona secondo standard di dignità minimi.
I sistemi di intervento sociale contro la homelessness sono costituiti da dispositivi stabili di servizi, orientati da un app roccio-strategico, per il conseguimento di un fine specifico. Per servizi si intendono in questo contesto delle unità organizzative specifiche atte ad erogare presso una determinata sede tipologie di prestazioni ben determinate, in modo continuativo o ripetuto n el tempo, socialmente riconosciuto e fruibile. I singoli servizi che possono comporre un dispositivo locale di intervento contro la grave emarginazione sono molteplici e possono avere diverse coniugazioni funzionali. Nel contesto di queste linee di indirizzo appare utile adottare le definizioni della citata indagine Istat, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Caritas e f io.PSD, che sulla base di una ricognizione nazionale ed internazionale dell’esistente ne ha censiti e codificati 32, distinti per orientamento funzionale. Essi possono essere così definiti: Servizi di supporto in risposta ai bisogni primari:
1. distribuzione viveri strutture che distribuiscono gratuitamente il sostegno alimentare sotto forma di pacco viveri e non sotto forma di pasto da consumare sul posto
2. distribuzione indumenti-strutture che distribuiscono gratuitamente vestiario e calzature
3. distribuzione farmaci-strutture che distribuiscono gratuitamente farmaci (con o senza ricetta)
4. docce e igiene personale -strutture che permettono gratuitamente di usufruire dei servizi per la cura e l’igiene della persona
5. mense -strutture che gratuitamente distribuiscono pasti da consumarsi nel luogo di erogazione dove l’accesso è sottoposto normalmente a vincoli
6. unità di strada - unità mobili che svolgono attività di ricerca e contatto con le persone che necessitano di aiuto laddove esse dimorano (in genere in strada)
7. contributi economici una tantum ;è una forma di supporto monetario a carattere sporadico e funzionale a specifiche occasioni; 21 Servizi di accoglienza notturna
8. dormitori di emergenza -strutture per l’accoglienza notturna allestite solitamente in alcuni periodi dell’anno, quasi sempre a causa delle condizioni meteorologiche
9. dormitori -strutture gestite con continuità nel corso dell’anno che prevedono solo l’accoglienza degli ospiti durante le ore notturne
10. comunità semiresidenziali-strutture dove si alternano attività di ospitalità notturna e attività diurne senza soluzione di continuità
11. comunità residenziali-strutture nelle quali è garantita la possibilità di alloggiare continuativamente presso i locali, anche durante le ore
diurne e d ove è garantito anche il supporto sociale ed educativo
12. alloggi protetti -strutture nelle quali l’accesso esterno è limitato. Spesso vi è la presenza di operatori sociali, in maniera continuativa o saltuaria;
13. alloggi autogestiti-strutture di accoglienza nelle quali le persone hanno ampia autonomia nella gestione dello spazio abitativo (terza accoglienza)
gli approcci cosiddetti housing led e housing first; questi partono dal concetto di “casa” come diritto e come punto di partenza dal quale la persona senza dimora deve ripartire per avviare un percorso di inclusione sociale. Con housing first si identificano tutti quei servizi basati su due principi fondamentali: il rapid re-housing (la casa prima di tutto come diritto umano di bas e) e il case management (la presa in carico della persona e l’accompagnamento ai servizi socio-sanitari verso un percorso di integrazione sociale e benessere). Secondo l’housing first solo l’accesso ad una abitazione stabile, sicura e confortevole può generare un benessere diffuso e intrinseco nelle persone che hanno vissuto a lungo un grave disagio (long term homelessness). Per le persone senza dimora la casa è il punto di accesso, il primo passo, l’intervento primario da cui partire nel proporre per corsi di integrazione sociale. Il benessere derivato da uno stato di salute migliorato, l’accompagnamento psicologico, assistenzial e e sanitario garantiti dall’equipe all’utente direttamente a casa possono, come gli studi hanno dimostrato, essere vettori di un a stabilità abitativa. Con housing led si fa riferimento a servizi, finalizzati sempre all’inserimento abitativo, ma di più bas sa intensità, durata e destinati a persone non croniche. Lo scopo è assicurare che venga rispettato il diritto alla casa e l’acces so rapido ad un’abitazione. Per queste persone, ancora di più che nei programmi di housing first, bisogna lavorare sull’incremento del reddito attraverso percorsi di formazione/reinserimento nel mondo del lavoro e sul reperimento di risorse formali e informali sul territorio. L’obiettivo è rendere la persona nel breve periodo in grado di ricollocarsi nel mondo del lavoro e di reperir e un alloggio in autonomia
PREMESSA:
Solo negli anni recenti si registra un certo interesse per il cohousing in Italia. Gradualmente le città diventano importanti laboratori a cielo aperto per la sperimentazione di nuove modalità residenziali: fenomeni come la trasformazione dei nuclei familiari, l’invecchiamento della popolazione, la precarietà lavorativa, la difficoltà nel reperire abitazioni adatte alle esigenze di una vita più mobile, l’indebolimento delle reti sociali spingono gli individui a coabitare (Boeri 2011). Il cohousing è formato da un gruppo di residenti che si organizzano in comunità con l’obiettivo di sviluppare ambienti inclusivi e sostenibili ai fini di una migliore qualità della vita (Institute for Creati- ve Sustainability 2012). Di solito, gli immobili sono comprensivi di varie unità abitative, con famiglie che decidono di dar vita, attraverso un processo di progettazione partecipata, ad insediamenti nei quali coesistono spazi privati e comuni. Se è vero che nel cohousing si condividono spazi e momenti della vita quotidiana, gli individui vivono in appartamenti privati: la co-abitazione non è imposta ma, al contrario, liberamente scelta.
È proprio in un periodo di profonda crisi economica quale quello vissuto oggi che va riscoprendosi l’interesse per forme alternative dell’abitare grazie alle quali sia possibile condividere risorse, attività, stili di vita e nelle quali (ri)trovare adeguate opportunità di protezione sociale. Inoltre, il cohousing pare rappresentare uno strumento innovativo di auto-governo rispetto al declino dello spazio pubblico delle città europee: negli anni recenti è infatti aumentata la presenza di cittadini, associazioni, talvolta enti locali che intendono sperimentare non solo progetti di questo tipo ma anche di autocostruzione, housing sociale
Tutti gli ospiti sono coinvolti, supportati da figure professionali non conviventi ma presenti in modo regolare, nella conduzione e nella gestione della vita quotidiana. Parallelamente viene attivata una progettualità personalizzata per ciascuno. Con l’obiettivo, attraverso innanzitutto il reperimento di un lavoro, di arrivare gradualmente ed entro massimo due anni alla fuoriuscita dall’ospitalità temporanea e quindi alla piena autonomia.
L’iniziativa rientra nell’impegno di forme alternative di residenzialità, in cui la persona senza dimora, in condizione di estrema vulnerabilità e fragilità, sia soggetto attivo. Forme che favoriscano dunque l’ottenimento e il mantenimento dell’autonomia. Il modello di riferimento è quello innovativo dell’housing first, ovvero “prima la casa”, per il contrasto alla grave marginalità sociale, basato sull’inserimento di persone senza dimora in singoli appartamenti indipendenti, allo scopo di favorirne uno stato di benessere dignitoso e forme di reintegrazione sociale.
- contribuiscono a contrastare e ridurre la solitudine, soprattutto delle persone in povertà
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promuovono rapporti basati sul rispetto e la comunicazione consapevole, relazioni di buon vicinato, condivisione, mutuo aiuto e responsabilità sociale
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favoriscono le relazioni tra pari e intergenerazionali, la conciliazione del lavoro con le responsabilità familiari, l’inclus ione sociale e la protezione comunitaria dei soggetti più deboli (bambini, anziani, persone con disabilità)
- favoriscono la ripresa dei percorsi di autonomia abitativa delle donne vittime di violenza le quali, a seguito di dimissioni dalle case rifugio, non sempre possono fare rientro nella propria abitazione
- migliorano la sostenibilità ambientale ed economica, mediante la generazione di economie di scala, la riduzione degli sprechi, il risparmio energetico, il recupero e riuso di beni pubblici e privati, l’autoproduzione di beni e servizi
- promuovono l’auto-organizzazione, la mutua collaborazione, la cittadinanza attiva e la partecipazione alla vita civica
- favoriscono l’adozione di misure al miglioramento dell’abitabilità, della salute, della sicurezza e dell’accessibilità dell’a bi- tare, anche mediante la riduzione delle barriere architettoniche e culturali
- promuovono l’etica dei beni comuni e generano un diffuso benessere personale e collettivo